Il letto d’ospedale, da solo, “fa male” al paziente. Un medico aperto anche alle discipline umanistiche ed artistiche ha molti più strumenti per comprendere a fondo il paziente e sostenerlo nel suo percorso di cura.
Ne abbiamo parlato con il Dottor Pietro Giovanni Suriano, che è anche autore del romanzo storico “I cavalieri di Pluta”, e sottolinea in questa intervista il valore aggiunto della cultura.
Lei è autore del romanzo storico “I cavalieri di Pluta”. Come nasce la sua passione per la scrittura?
Scrivere è da sempre una mia passione. Ho scritto anche delle poesie ed un secondo romanzo che vorrei pubblicare nei prossimi mesi. In questo primo romanzo storico ho voluto raccontare la storia di Sicilia, per lasciare ai posteri qualcosa del mio vissuto. La storia tratta della guerra dei Baroni che c’è stata a Catania, ha coinvolto uomini ricchissimi, è stata una delle più violente dell’epoca. Ho sentito il desiderio di raccontare queste vicende per ripercorrere quegli anni in cui la Sicilia non era “disastrata” come oggi, ma attraversò degli anni d’oro con tanti personaggi importanti. I personaggi da me scritti sono veri, ma ovviamente il romanzo è un corollario di avventure frutto della mia invenzione. Molti cenni sono dovuti alla storia, ma ho voluto renderlo fruibile e scorrevole da leggere, quindi c’è anche parecchia fantasia.
Scrittura e quindi cultura come “cura” di se stessi. Cosa ne pensa?
Sicuramente sì. La medicina è andata sempre a braccetto con le materie umanistiche perché il medico deve padroneggiare le espressioni linguistiche, comprendere dal paziente ogni sfumatura psicologica o filosofica, per percepire come e quanto soffre una persona. I miei maestri di medicina erano anche luminari in ambito culturale: in passato, proprio qui a Catania, i medici erano molto famosi per essere anche molto dotti. Il medico deve interessarsi alla semiotica, al linguaggio dei segni, all’etimologia delle parole. Pensiamo a molti pazienti che non si riescono ad esprimere correttamente e vanno interpretati, quando tentano di raccontarci il loro disagio o la loro sofferenza. Al giorno d’oggi evidentemente si avverte di più questo senso di educazione all’umanistica, ma non scordiamoci che la stessa medicina è anche una scienza umanistica. L’essere umano va compreso a 360 gradi, non è solo un “fatto scientifico” da analizzare, ma è soprattutto un “essere umano” da comprendere. Il medico deve essere aperto alla cultura. Mi occupo di patologie vascolari ed il primo approccio con il paziente è sempre mirato a stabilire una forte empatia.
E quanto è importante la cultura per combattere lo stress da lavoro?
Lo è davvero moltissimo perché interessarsi alla cultura significa sgombrare il cervello, ricaricarlo dopo una giornata di forte stress. Se penso al mio quotidiano, fatto di ecografie sofisticate e moderne, ma anche di psichiatria, fino alla cardiologia: dopo una giornata di lavoro ho assorbito il malessere e le malattie che mi vengono raccontate in modo anche molto forte e dettagliato dai pazienti; se non avessi questa ampia libertà di sognare attraverso la scrittura e la cultura in generale, non potrei raggiungere quello stato di equilibrio che è importante mantenere.
Club Medici ha organizzato, tra i suoi corsi di formazione, “Arte, empatia e burnout”. Secondo lei le arti rappresentano quindi uno strumento virtuoso per prevenire lo stress e promuovere l’empatia?
Parteciperò al corso e ne ho già svolti tre! L’arte è senza dubbio uno strumento virtuoso. Pensiamo a quanto la pandemia di questi mesi abbia provocato moltissimo stress a tutto il mondo della sanità. So bene cosa accade nelle terapie intensive, con i medici disposti a turni estenuanti pur di sostenere i loro pazienti. L’arte non è solo un ottimo rimedio al burnout, ma è anche un importante metodo di cura alternativo: pensiamo alla danza, che migliora enormemente le capacità di movimento di chi ha il morbo di Parkinson; non c’è una spiegazione logica al perché ciò avvenga, eppure i progressi sono impressionanti. Oppure pensiamo anche alla depressione post ictus, a chi è colpito da infarto miocardico, fino ai pazienti oncologici: in tutti questi casi l’arte-terapia o la musico-terapia danno al paziente una chance in più per combattere. Non si può curare soltanto su un letto, il letto fa male al paziente.
A cura dell’Ufficio Stampa Club Medici