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Suicidi in aumento:
per isolamento e crisi economica

L’isolamento forzato e prolungato dei mesi scorsi ha avuto effetti devastanti soprattutto sulle persone più fragili o affette da patologie mentali. Prevenire i tentativi di suicidio è possibile? Ne abbiamo parlato con il Professor Maurizio Pompili, Responsabile del Servizio per la Prevenzione del Suicidio presso l'Azienda Ospedaliera Sant'Andrea e Docente di Suicidologia presso la Scuola di Specializzazione in Psichiatria, di Medicina e Psicologia presso l'Università "La Sapienza" di Roma. 

Dal 7 al 12 settembre è in programma il “Convegno Internazionale di Suicidologia e Salute Pubblica”, per la prima volta in versione digitale. Quali tematiche affronterete, anche alla luce dei cambiamenti che il coronavirus ha determinato?  

In linea con i problemi legati al covid-19 il convegno sarà in versione digitale: abbiamo 9 differenti webinair, incentrati su temi specifici, anche se lo spirito è di essere poliedrici ed eclettici. Questo appuntamento, infatti, rappresenta un’occasione all’interno della quale i diversi pareri e i vissuti degli esperti verranno condivisi con gli altri. Il focus sarà naturalmente sul binomio covid-salute mentale, ma parleremo anche di suicidio, della risposta della popolazione a questi mesi drammatici e delle criticità che stiamo osservando. Un altro modulo riguarderà gli aspetti farmacologici, i farmaci più innovativi, che hanno grandi potenzialità nel trattare la depressione e anche la “depressione maggiore”, quella con forte rischio di suicidio nell’individuo che ne soffre. Un ulteriore modulo sarà incentrato sui giovani ricercatori, molto promettenti, che sviluppano degli studi innovativi in materia. I dibattiti saranno tradotti in inglese perché verranno proposti anche alla platea esterna, non solo italiana. Proprio in questo contesto una task force internazionale, esperta sul rischio di suicidio post pandemia, gestirà un modulo ad hoc per trattare questo argomento. Infine ci occuperemo dell’impatto della pandemia sul personale sanitario e sul rischio burnout.

Se dovesse scattare una fotografia dopo l'emergenza covid, crede che il rischio di azioni di suicidio sia aumentato in Italia? Se sì, quali sono state le cause scatenanti?

Si è osservato un dato su tutti: a livello nazionale l’impatto del coronavirus sulla salute mentale è stato molto forte soprattutto sugli operatori della salute, persone in trincea che sono state letteralmente travolte da un qualcosa che non si conosceva, molto più grande di loro. I suicidi, in termini generale, sono aumentati per chi aveva paura di essere contagiato e viveva il lockdown in modo molto angosciante. Una terza fattispecie ha riguardato chi ha sofferto la crisi economica: perdita del lavoro e chiusura delle attività, assenza di sostentamenti, sono stati elementi determinanti. L’incognita del futuro e la paura della pandemia hanno fatto il resto in questo quadro già molto precario.

Che tipo di emergenza stiamo vivendo? Umana, sociale o economica?

Certamente umana. L’allarme internazionale è che la pandemia farà aumentare il numero di suicidi nei prossimi mesi. Non possiamo ancora lavorare con dati scientifici in termini reali perché i dati arriveranno ad anno concluso e verranno elaborati successivamente. Sicuramente in varie nazioni abbiamo osservato un aumento del fenomeno. Il problema economico è quello che più viene annoverato e potrebbe verificarsi proprio un’epidemia di suicidi per la recessione economica. I dati della crisi del decennio scorso avevano già fatto impennare la curva; ora la speranza è che ci sia un miglioramento e che la crisi non sia così duratura, ma è qualcosa di devastante per le famiglie e per le imprese. Basti pensare a quanti posti di lavoro sono andati un fumo. La miseria umana è dovuta alla frustrazione, alla precarietà. La mancanza di prospettiva incide moltissimo. Per questo gli operatori sanitari devono essere quanto più empatici in questo momento, per sostenere il dolore mentale. Di solito è proprio il dolore mentale il motore che poi genera il suicidio. Nessuno vorrebbe morire, se vedesse alleviato il suo dolore mentale. Guardare al futuro e non riuscire a vederlo, genera tutto questo. Il supporto di chi sta male può fare davvero la differenza.

La pandemia ha quindi accelerato lo sviluppo di problematiche legate alla salute mentale?

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato che la salute mentale al momento è un’emergenza gravissima. Chi già aveva una condizione psichiatrica fragile, rischia di pagare ora un prezzo ancora più alto. Lo stesso lockdown e la reclusione hanno inciso. Per questo chiediamo a gran voce che ci sia una presenza massiccia di consulenti e psichiatri perché l’utenza sta aumentando e non sempre si riesce a dare risposte concrete e tempestive a tutti. Anche in questo caso vedremo i dati ufficiali più avanti, ma certamente i problemi legati alla salute mentale sono aumentati. Stiamo osservando che non è sempre possibile gestire tutte le richieste; le risorse non sono sufficienti ad adempiere al ruolo di sostegno per tutti coloro che ne hanno bisogno. Luoghi di sostegno, solidarietà ed empatia devono essere le basi dalle quali ripartire. La solitudine quotidiana ha messo a dura prova molte persone, anche quelle che apparivano “normali” ma che di fronte ad un evento così grande ed angosciante hanno sviluppato sintomi depressivi e ansiosi.

Secondo lei quali saranno gli scenari futuri e le possibili soluzioni?

Sostanzialmente la carenza di psichiatri e l’impossibilità di superare le barriere indotte dalla distanza hanno costituito i due problemi maggiori. Avere lo specialista ma non poter andare in visita, non risolve un problema. Lo sviluppo di strategie di terapie digitali e di visite via web andrà sicuramente implementato perché rappresenta una soluzione importante. La possibilità di usufruire di questi nuovi mezzi digitali per superare la distanza e relazionarsi comunque con le persone è un buon metodo. Deve essere un sistema sempre più collaudato e sviluppato anche dalle aziende ospedaliere, così che si possa mantenere la privacy dei dati personali, ma si possa garantire un supporto costante a chi ne ha bisogno. Questo consentirebbe anche di potrebbero smaltire molte liste d’attesa ed evitare la paura del contagio. Poi bisognerebbe investire sui servizi di salute mentale ed aumentare il numero delle persone coinvolte. Infine è necessario promuovere la salute mentale, riconoscendo certe patologie al loro stadio iniziale, prima che si manifestino apertamente e che sia troppo tardi per intervenire.

A cura dell’Ufficio Stampa Club Medici

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