L’arte come terapia; come strumento per affinare le capacità diagnostiche dei medici e contro la sindrome da burnout. Ne abbiamo parlato con Vincenza Ferrara, Responsabile del Laboratorio “Arte e Medical Humanities” dell’Università Sapienza di Roma, e membro del Comitato Scientifico di “Cultura è Salute”.
Arte e medicina: quale relazione?
Ho scelto di lavorare come storica dell’arte in una facoltà di medicina, sulla base di numerosi studi ed articoli scientifici che promuovevano proprio l’utilizo dell’arte nella formazione medica. Dal 2014 ho progettato un seminario con un gruppo di ricerca, composto da alcuni giovani medici, ed ho scoperto che negli Stati Uniti già da diversi anni gli studenti di infermieristica venivano portati nei musei durante la loro formazione. Proprio oltreoceano vengono fatti dei corsi di arte all’interno delle facoltà di Medicina, anche in atenei prestigiosi del calibro di Harward o Yale. A Dallas, ad esempio, hanno sviluppato dei metodi d’insegnamento che siano funzionali ad un approccio all’arte che possa essere utile anche nella formazione medica. In termini pratici è stato riscontrato che esistono molti metodi pedagogici che utilizzano l’arte, facendo leva soprattutto sul coinvolgimento.
A tal proposito lei si occupa del progetto "Visual Thinking Strategies": in cosa consiste?
Questo progetto è nato dalla collaborazione tra una psicologa ed un esperto di arte del M.o.m.a alla fine degli anni ’80 e serviva a capire come coinvolgere i visitatori durante le loro visite ai musei; poi è stato traslato nelle scuole e nelle università. Con la "Visual Thinking Strategies" contempliamo non solo l’arte, ma il patrimonio culturale nella sua totalità; qualsiasi oggetto museale può creare dibattito tra le persone, quindi costituisce un gruppo di “pari”, ovvero persone più o meno della stessa età, interessi e grado culturale, che sono sullo stesso piano e discutono tra loro. Ma è anche utile farlo con gruppi eterogenei. C’è la figura del “facilitatore”, che raccoglie davanti ad un’opera d’arte o un’immagine sconosciuta, questo gruppo di persone. Si domanda ad ognuno di loro di rispondere ad alcune domande relative all’immagine. Si chiede quindi di elaborare un’ipotesi rispetto a ciò che si osserva: cosa vedono, cosa percepiscono ecc. Si crea una relazione di gruppo tra i vari partecipanti, che si relazionano tra loro nel dibattito, spiegano il perché delle loro risposte, e possono anche cambiare idea nel corso della discussione. Questo a livello medico è molto utile per capire come funziona il processo di osservazione: il “Visual Thinking Strategies” stimola infatti il “problem solving” perché si elabora un contenuto, sviluppa il pensiero divergente e la creatività perché si prende in considerazione che possano esserci più ipotesi di significato. Questo dovrebbe essere fatto anche dal medico nella diagnosi differenziale. Quindi è un’attività che aiuta nello sviluppo di competenze che un corso di laurea in medicina “classico” non farebbe. L’arte inoltre limita lo stress nelle persone e anche questo è molto rilevante.
A proposito di stress, a settembre si terrà il corso di formazione Club Medici "Arte, empatia e burnout". Quanto sono utili le pratiche culturali per prevenire il sovraccarico fisico e mentale?
Moltissimo! Ho già fatto un Ecm lo scorso anno con Club Medici e ripeteremo anche quest’anno l’esperienza. Lo sviluppo dell’empatia e la limitazione dello stress passano anche attraverso l’arte. Si dice che l’arte sia in grado di “rallentare il battito”, ha un effetto calmante sulle persone. In questo caso gli obiettivi del corso sono molteplici: promuovere le attività culturali, dare ai medici dei consigli utili nell’ottica di spronarli a frequentare i musei o comunque dedicarsi al loro benessere. Il messaggio finale è questo: prendetevi il vostro tempo! Il medico deve rigenerarsi e questa rigenerazione passa anche dall’arte e dalla cultura, dal disegno, dalla lettura o dalla musica. Per quanto riguarda l’empatia, invece, il discorso è molto delicato: l’assunto di base è che un medico non può condividere il dolore del malato, non può immedesimarsi, altrimenti non potrebbe curarlo nel modo giusto. Ma il medico può usare la sua comprensione. Può comprendere come sta un’altra persona. E per farlo ha bisogno di “leggere” gli atteggiamenti del corpo, gli sguardi, le emozioni del paziente. L’arte in questo processo può essere di grandissimo aiuto: i ritratti, ad esempio, ci mettono davanti agli occhi proprio i diversi sentimenti dell’essere umano. Sviluppa una sensibilità molto forte. Attraverso i quadri possiamo apprendere e quindi comprendere.
Lei fa parte anche del comitato e scientifico di "Cultura è Salute". Perché ha aderito al network e cosa apprezza particolarmente?
Molti medici nel corso della loro vita sono anche degli artisti. Medicina ed arte hanno viaggiato sempre insieme, nei secoli scorsi come al giorno d’oggi, quindi già a livello storico il riscontro è forte. Ho aderito a “Cultura è Salute” perché ritengo che l’arte sia uno strumento fondamentale per la formazione in area medico-sanitaria e il vostro network promuove proprio questa filosofia. Mi ha convinta perché credo che ci sia ancora poca conoscenza di queste opportunità, nell’ambito del benessere legato alla cultura, oppure se ne parla poco, magari solo quando riguarda i soggetti affetti da disabilità o in altri casi particolari. Io credo che invece dovrebbe essere un tema totalizzante: ad ognuno di noi servirebbe un’ora al giorno per dedicarsi al disegno, alla musica, al teatro, alla letteratura. Significa prendersi cura di se stessi e questo incide significativamente sul benessere fisico e mentale. Inoltre è di grande aiuto nel rapporto medico-paziente. “Cultura è Salute” infine rappresenta un network e ciò vuol dire che ha la capacità di correlare le diverse realtà presenti sul territorio; ciò è molto importante per fare rete e discutere insieme, per far sì che le associazioni non siano solo di nicchia, ma ogni cittadino possa avere l’opportunità di usufruirne. In fondo al centro di tutto rimane un solo obiettivo: il benessere della persona.
A cura dell’Ufficio Stampa Club Medici