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La bellezza che cura:
l'arte come compagna di viaggio dei malati oncologici

Seguire il paziente durante il suo “percorso” più duro, per mostrargli come continuare a vivere la propria vita nonostante la malattia, è la mission della Onlus di Napoli “Compagni di viaggio”. Abbiamo intervistato il presidente, Fabrizio Capuano, che promuove con forza una nuova visione della medicina, che metta al centro non gli organi malati, ma le persone.

Di cosa si occupa la vostra associazione?

Siamo nati nel 2005 e la nostra attività era inizialmente dedicata all’umanizzazione delle strutture ospedaliere, per alleviare il senso di noia e sofferenza che le persone avvertivano durante i ricoveri molto lunghi, per patologie come cancro, Aids, trapianti, insomma che trascorrevano buona parte del loro tempo negli ospedali. Tolte le attività cliniche mattutine, queste persone avevano molto spazio da riempire nel corso delle loro giornate. Poi il discorso si è evoluto perché abbiamo meglio focalizzato il nostro impegno, incentrandolo sul supporto psicologico ai pazienti oncologici terminali. Insistiamo principalmente sul bisogno oggettivo di avere negli ospedali anche dei professionisti non strettamente medici, che siano integrati nei percorsi di cura dei pazienti con patologie molto disabilitanti, perché non bisogna dimenticare che c’è tutta una cultura legata alla vita di comunità e di condivisione, ed una serie di attività in grado di contrastare il senso di spaesamento e solitudine che gli ammalati provano ogni giorno.

Che tipo di progetti portate avanti per la realizzazione della vostra mission?

Abbiamo dei progetti finanziati stabilmente dalla Chiesa Valdese qui a Napoli; mettiamo a disposizione dei malati terminali e delle loro famiglie sia gli psicologi, per un percorso di valorizzazione della loro vita, sia uno sportello di assistenza sociale: alcuni di loro infatti sono in grave difficoltà dunque ci sembrava importante assisterli a livello di welfare; poi abbiamo degli operatori olistici per tecniche di rilassamento e benessere del corpo, terapisti del dolore, perché alcune famiglie non possono sostenere questo tipo di spesa. In Campania la rete di cure palliative è ancora piuttosto lacunosa quindi anche gli stessi pazienti ci chiedono aiuto in questo senso. Riteniamo che sia importante avvicinare i pazienti e i loro familiari ma anche i medici e gli operatori sanitari in modo soft all’interno di attività di “confronto libero”, per non urtare la sensibilità di nessuno: sono strategie e percorsi pensati per ridurre le distanze e favorire la condivisione di sentimenti, emozioni ed idee.

Da due anni a questa parte avete anche ideato il progetto “La bellezza che cura”. Di cosa si tratta?

“La bellezza che cura” è un altro progetto al quale teniamo molto: sempre in ambito di patologia oncologia proponiamo alcuni percorsi guidati e gratuiti, in collaborazione con dei musei di Napoli con i quali sigliamo dei protocolli d’intesa. Crediamo che la fruizione dell’arte sia altamente terapeutica, anche se in ambito oncologico mancano ancora esperienze certificate in questo senso. Ma bisogna iniziare a comprendere che anche all’interno della malattia c’è tutta una vita da vivere, con gioia e soddisfazione, per affrontare meglio le terapie, molto impegnative per i malati oncologici. In sinergia con il “Museo Archeologico di Napoli” avevamo deciso di avviare un progetto di respiro nazionale, coinvolgendo anche altri musei italiani, che si sono dimostrati da subito entusiasti: il covid purtroppo ha bloccato questo progetto, ma speriamo di riprenderlo da settembre per incrementare questi percorsi di cura che mettono la persona al centro.

Che tipo di risposta avete avuto dai pazienti coinvolti?

Gli utenti dei nostri progetti sono tutti molto soddisfatti: in gran parte sono pazienti terminali quindi la migliore testimonianza del nostro operato ci viene riportata dai loro familiari, che ci raccontano il benessere reale provato da chi ci ha lasciato, ma anche il sollievo delle stesse famiglie. Stiamo attraversando un momento in cui c’è un bisogno urgente e tempestivo di reintrodurre nelle strategie di cura anche gli elementi culturali, incentivare la relazione con il paziente e la conoscenza della storia personale del paziente: tutto questo rientra nelle logiche della medicina narrativa, che a mio avviso è uno strumento fondamentale per capire cosa realmente serve a quella persona, per aiutarla nel suo percorso di cura. Capirne lo stile di vita, l’alimentazione e cosa pensa è fondamentale. Si perde troppo tempo, a volte, in percorsi terapeutici non efficaci; è dunque cruciale promuovere queste nuove modalità di azione, che favoriscano la cooperazione tra il sistema sanitario e gli ammalati, coinvolgendo quanti più soggetti estranei alla medicina tradizionale ma rappresentanti della società civile. C’è ancora diffidenza a livello istituzionale, ma è importantissimo individuale nuovi percorsi di cura e nuove attività che attualmente sono ancora gestite esclusivamente dagli operatori sanitari “tradizionali”.

Ci sembra di riscontrare, dalla sua esperienza, molte affinità con i valori e la filosofia di “Cultura è Salute”. Cosa l’ha colpita del nostro portale?

Sono rimasto estremamente colpito da due aspetti: lo scounting che fate, per far emergere e conoscere le diverse realtà presenti sul territorio, è un aspetto encomiabile che dimostra come “Cultura è Salute” abbia un reale interesse per le associazioni; e poi il fatto di essere un network costituito anche da persone “che stanno dall’altra parte”, ovvero i medici. Effettivamente la testimonianza diretta dei sanitari, per modificare la cultura e la mentalità, è molto importante; se si adoperano solo le associazioni di volontariato, difficilmente si riescono ad aprire certe porte. In questo senso “Cultura è Salute” collega una parte all’altra; siamo orgogliosi di fare parte di questo network, l’idea che il benessere passi anche attraverso queste azioni è importante. La bellezza della vita passa anche attraverso questi valori e principi etici.

A cura dell’Ufficio Stampa

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