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"Non dimentichiamoli":
un rito laico per le vittime del covid

Al “Mauriziano” di Torino la prima celebrazione  collettiva, di familiari e sanitari, per ricordare i defunti del coronavirus. Il referente aziendale, Pino Fiumanò, ha ripercorso con “Cultura è Salute” quei momenti altamente simbolici e toccanti. 

Avete promosso il primo rito laico collettivo per ricordare i defunti del coronavirus, nel giardino di un ospedale, il “Mauriziano” di Torino. Com’è nata questa iniziativa?

Ci ha mosso il grande dolore per la mancanza del rito funebre vero e proprio. Tutti i parenti delle vittime ci hanno raccontato che è stato l’aspetto più devastante. Inizialmente abbiamo chiesto ai sanitari e alle famiglie dei defunti per covid di mettere per iscritto le loro esperienze e, fin da subito, abbiamo notato che da parte di queste persone c’era un grande desiderio di raccontarsi. Ci siamo chiesti come poter aiutare queste persone: da qui è nato “il rito laico”. I destinatari del rito, ovvero i familiari e i sanitari che avevano visto ogni giorno la sofferenza con i loro occhi, si sono incontrati nel giardino dell’ospedale. E’ stato scelto l’ulivo, come albero altamente simbolico, perché è sempreverde e longevo, ha un tronco contorto che ci ricorda come la vita ci sottopone a molte prove da superare, esperienze dure che ci insegnano a crescere. L’ulivo rappresenta le intemperie alle quali siamo sottoposti, quindi è stato scelto per i suoi tanti elementi riconoscibili da tutti. I sanitari hanno seminato la terra, i familiari si sono avvicinati ed hanno bagnato quella terra. Questi due atti hanno rappresentato un percorso, un cammino, un forte momento di condivisione. Alla fine del rito i familiari ci hanno detto “ora abbiamo chiuso un cerchio”.

C’è stato un momento in particolare che l’ha colpita?

Sicuramente il momento dell’incontro tra famiglie e sanitari, quell’incontro che mancava da mesi. Quelle persone, che si sono viste per la prima volta, hanno avuto la possibilità di scambiarsi delle emozioni: la fatica, le paure e le lacrime di medici ed infermieri, che finalmente hanno potuto raccontare di aver pianto tanto ed hanno anche confortato i familiari dicendo loro che nessuno è morto da solo, che hanno tenuto la mano degli ammalati fino alla fine. Dall’altra parte i familiari hanno condiviso la loro sofferenza nel non poter assistere i loro cari nel momento più difficile. Un altro momento che ci ha colpito molto, quando siamo andati in scena con questo rito laico, è stato questo: prima del rito, si sono addensate molte nuvole grigie e dense sul Mauriziano; quando abbiamo iniziato a leggere le testimonianze di familiari e sanitari, si è alzato un gran vento ed il cielo si è lentamente aperto. Insieme al sole è scesa una leggerissima pioggia, che ha ricordato ai presenti le lacrime dei defunti.  E’ stato molto toccante, abbiamo sentito la “presenza” di chi non c’era più. Poi c’è stata una danza di rondini proprio sopra l’ulivo che avevamo appena piantato. Tutte le persone, sia sanitari sia familiari, hanno avuto la sensazione che finalmente i defunti potessero riposare in pace ed hanno sentito il cuore leggero.

Perché la scelta di coinvolgere anche il personale medico durante il rito?

Il comparto sanitario sta vivendo un momento di grande difficoltà. Quando c’è molta adrenalina, si lavora ininterrottamente, non si ha il tempo di pensare. Ma poi ci si ferma e ci si rende conto che questa esperienza ha cambiato tutti profondamente. “Non siamo più quelli di prima” raccontano molti colleghi. Era quindi importante coinvolgerli in questa relazione con le famiglie delle vittime. Al di là di questa iniziativa, molti e continui sono gli stimoli a ricercare ed implementare attività di umanizzazione all’interno dell’ospedale, affinché l’assistenza sia sempre più a misura di “persona” e non di “paziente”, considerando la sfera psicologica e sociale dell’individuo come apparati bisognosi di cura al pari dignità di quella biologica.

E qui veniamo al progetto di “Salutearte”: com’è nato e con quali finalità?

La nostra metodologia è stata codificata ed è riconosciuta anche a livello europeo all’interno degli ambienti sanitari. Decliniamo l’arte come umanizzazione dei processi di cura. Il “Punto Biblio”, ad esempio, è stato accolto da subito con entusiasmo nel nostro ospedale: è stato colto come grande opportunità, perché ha un grande valore non solo come momento per combattere la noia che si vive in ospedale. Molti studi, anche dell’Oms, testimoniano questo dato: la fruizione della cultura, dell’arte e della bellezza in ogni forma, produce salute. Ha un valore terapeutico riconosciuto. Il tempo di relazione è tempo di cura: questo vuol dire che accanto ai farmaci e alla terapia, anche la cultura aiuta a stare meglio. Aumenta il grado di conoscenza, produce effetti sul corpo che consentono di stare in salute o comunque di accelerare i processi di guarigione nel paziente. L’ospedale deve essere considerato un “luogo ospitale”. Per questo al “Mauriziano” porto avanti, con il gruppo “Salutearte” molti progetti poliedrici: ad esempio il teatro sociale, che è una vera e propria metodologia. Si utilizzano l’arte ed i suoi linguaggi per costruire processi partecipati, partendo da una condizione umana data. Il teatro non è un pensiero o una riflessione, ma un’azione che si fa insieme. E questo avvicina le persone. Tutti i nostri progetti non sono solo per passare un po’ di tempo libero o per puro divertimento. L’obiettivo è il cambiamento da una condizione A ad una condizione B, in un processo di comunanza con gli altri. Siamo l’unico ospedale sul territorio nazionale che riconosce formalmente, con una delibera, il gruppo di “Salutearte” per le sue best practices. Il teatro sociale non produce soluzioni, ma s’interroga su quale possa essere il percorso da intraprendere per stare meglio. Raccogliamo le emozioni degli altri e questo poi ci permette di concretizzare delle azioni, volte al benessere delle persone.

Una filosofia che quindi vi avvicina molto al portale “Cultura è Salute”…

Certamente. “Cultura è Salute” rappresenta uno strumento strategico, capace di creare legami, conoscenza e relazioni. Mi auguro che il portale possa crescere, per uno scambio continuo di esperienze, progetti e metodologie; sarebbe bello, oltre alle innegabili potenzialità del web, poter partire da questo network per istituire anche un appuntamento annuale dal vivo tra le varie associazioni, per stringersi le mani, guardarsi negli occhi, continuare ad incentivare questo tipo di progetti. Lo scambio di esperienze e competenze è enorme, così come di idee tra operatori che portano avanti questa filosofia. “Cultura è Salute” può essere un ottimo collante tra le varie associazioni, per portare avanti obiettivi comuni virtuosi.

A cura della Redazione

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