Polmoni a rischio per almeno 6 mesi dopo essere guariti, mentre il 30% dei pazienti avrà problemi respiratori cronici. Secondo gli esperti, infatti, l'infezione potrebbe lasciare strascichi a lungo termine sulla funzionalità respiratoria e talvolta comprometterla in modo irreversibile, soprattutto nei pazienti usciti dalla terapia intensiva.
La società italiana di pneumologia ha tracciato uno scenario preoccupante sul periodo successivo all’infezione da COVID-19: per buona parte dei guariti, infatti, i postumi della malattia potrebbero essere piuttosto gravi. L’ipotesi è stata formulata nel corso del convegno digitale della Sip, durante il quale sono stati messi a confronto i primi dati di follow-up raccolti nel nostro Paese insieme a quelli forniti dai medici cinesi, con gli esiti di pazienti colpiti da Sars nel 2003.
Dallo studio è emerso infatti che l'infezione polmonare da coronavirus può lasciare un'eredità cronica sulla funzionalità respiratoria: si stima che in media in un adulto possano servire da 6 a 12 mesi per il recupero funzionale, che per alcuni però potrebbe non essere completo. Dopo la polmonite da COVID-19 potrebbero perciò essere frequenti alterazioni permanenti della funzione respiratoria, ma soprattutto segni diffusi di fibrosi polmonare.
Il tessuto respiratorio, una volta colpito dall'infezione, perde le proprie caratteristiche e la propria struttura normale, diventando rigido e poco funzionale, comportando sintomi cronici e necessità, in alcuni casi, di ossigenoterapia domiciliare. La fibrosi polmonare potrebbe diventare perciò il pericolo del futuro per molti sopravvissuti al COVID-19 e rendere necessario sperimentare nuovi approcci terapeutici come i trattamenti con cellule staminali mesenchimali.
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Redazione