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Covid e calo d’attenzione: cosa viene fatto per favorire la RESPONSABILITÀ?
Ripartiamo da NOI, ma su altre basi.

La curva dei contagi da coronavirus continua a scendere in tutta Italia. Ma contestualmente cala anche l’attenzione della popolazione rispetto alle disposizioni sul distanziamento sociale, l’utilizzo delle mascherine e dei guanti. Convivere con il virus è possibile? Abbiamo intervistato il dottor Guido Buffoli, neuropsichiatra e nostro socio, che ha ipotizzato delle strategie da adottare per i prossimi mesi.  

Siamo entrati in una nuova fase che ci vede “conviventi” con il COVID-19. Quali problemi si innestano nella società?

Innanzitutto teniamo presente che questa storia non comincia da quando è iniziata ufficialmente la pandemia, ma già nei mesi precedenti c’erano dei segnali piuttosto evidenti: primo fra tutti quello delle “semi influenze”, con tossi persistenti, che dovevano far suonare il campanello d’allarme. E allora partirei da una considerazione: uno degli elementi destabilizzanti della psiche è l’imprevedibilità, alla quale aggiungo il fattore “incredibilità”, nel quale rientrano tutte quelle informazioni contraddittorie che stanno pesando sulla comunità. Siamo poi reduci da un anno di notizie catastrofiche sul clima, che hanno lasciato il loro segno. Imprevedibilità ed incredibilità creano confusione ed ecco allora che ne derivano parecchi danni. Il “come affrontare” la convivenza con il virus apre degli interrogativi: qual è la validità delle regole che vengono imposte? Sono norme applicabili sia a livello scientifico che giuridico? È abbastanza evidente che la quantità dei controlli sia molto esigua: la popolazione dovrebbe essere istruita a dovere e non lo è. L’altro aspetto è legato alla consapevolezza e al buonsenso dei cittadini. Ma cosa viene fatto per favorire la responsabilità? Certamente non abbastanza! Gli input sono moltissimi ma poco chiari: siamo quotidianamente bombardati da un’infinità di informazioni ma spesso contraddittorie.

La convivenza con il virus è più difficile per certe fasce d’età o di popolazione?

Si parla spesso di adolescenti superficiali nel rispettare le norme, ma dobbiamo tenere presente anche il loro atteggiamento di sfiducia generale verso le istituzioni e verso l’informazione scientifica.  Per aumentare la consapevolezza, bisogna aumentare l’adesione civile. Spesso vengono proposte delle misure irrealizzabili: lavare il pavimento se viene a trovarci qualcuno, sanificare tutto quello che l’ospite tocca, indossare la mascherina in casa ogni volta che non siamo soli; se si moltiplicano questi dettami per tutte le azioni della giornata, diventa irrealizzabile seguire alla lettera ogni regola. La popolazione deve poi fare i conti con le fake news che corrono in rete e proprio i giovani sono molto influenzabili dai social media. Il punto non è solo l’adesione alle norme, ma quello che c’è dietro: alcuni scienziati chiariscono che rispetto al virus siamo in fase di adattamento quindi dobbiamo convivere con la malattia. Bisogna quindi cominciare ad aiutare la popolazione a sviluppare una vera consapevolezza. Se spostiamo il problema sulle persone anziane, un eccesso di solitudine porta alla depressione e non va bene neanche questo.

Anche sulla questione delle mascherine spesso c’è stata confusione. Qual è il suo punto di vista?

Intanto dobbiamo chiarire che anche su questo fronte è mancata chiarezza: inizialmente ci hanno detto che indossare la mascherina non serviva a nulla, poi ci hanno obbligato ad averla sempre con noi per proteggere gli altri. Per non parlare della poca accessibilità a questi dispositivi di protezione: i prezzi erano schizzati alle stelle e allora si era creata disparità sociale tra chi poteva acquistarle e chi si adattava con delle versioni “ridicole” ed inutili. La mascherina inoltre apre un tema sociale e psicologico molto importante: le persone hanno iniziato a guardarsi con sospetto, si evitano tra loro quando camminano… sono tutti aspetti che creano conflitto.

Quali strategie e quali messaggi codificare affinché tutti siano responsabili?

Bisogna aiutare le persone a rivedere le loro abitudini e i loro comportamenti, spezzare la routine a favore di una nuova consapevolezza. Interrompere gli automatismi e scardinare quel modo di agire cristallizzato nel tempo. Aiutare le persone a conoscere, le aiuta anche a prevenire. Ma in questo è fondamentale che lo stato sia presente, che faccia arrivare alle persone questo messaggio: non sei da solo, non ricadrà tutto sulle tue spalle. La socialità è sempre stata uno dei punti di forza dell’essere umano; l’interazione ha sempre fatto parte di noi per confrontarci con gli altri, trovare affetti, solidarietà, conforto. Questo distanziamento sociale, che non è solo fisico ma anche psicologico, crea una situazione anti-aggregante. Le persone cercano di sopperire questa mancanza con i mezzi di comunicazione, i social media, ma non è la stessa cosa. Questa pandemia rappresenta quindi un’occasione non solo per far ripartire l’economia del nostro paese, ma ripartire NOI, come cittadini, su altre basi. Voglio anche sottolineare l’importanza di una maggiore sensibilità verso l’ambiente: la questione climatica non si può più escludere. Se almeno 80mila morti l’anno sono provocati delle polveri sottili, dobbiamo porci anche questo problema. Anche con il coronavirus, le regioni più colpite sono state quelle più industrializzate, la questione smog torna centrale.

Infine, a livello pratico, in che modo dobbiamo ridisegnare la nostra quotidianità?

Questo virus rappresenta tutta un’occasione per concentrare l’attenzione sul benessere della persona, sulla capacità di trovare un nuovo equilibrio.  Ad oggi manca una campagna d’informazione come adottare dei comportamenti virtuosi per noi stessi. Uno stile di vita sano rappresenta la vera ricchezza individuale, per affrontare questa situazione, ma anche le future pandemie.   Contare solo sul vaccino porta le persone alla rassegnazione o a pensare che quella sia l’unica soluzione.  Si parla troppo poco del sistema immunitario e di cosa si può fare per stare bene. Tutto questo senso d’incertezza sta pesando molto sulle persone fragili. In ogni pandemia si cerca per reazione di trovare i colpevoli, gli “untori”. Ma se la società è posta a troppi dubbi, tutti sospettano di tutti. Si creano frustrazione e rabbia che possono provocare reazioni incontrollate. L’Italia è un paese di tifosi, sarebbe bello tifare per noi stessi, per le persone! Affrontiamo questo momento storico tutti insieme, diamoci una mano e ce la faremo.

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