La quarantena forzata, che costringe a casa ormai da settimane milioni di italiani, ha molteplici risvolti psicologici: dalla paura del virus “invisibile”, all'incertezza sull'evolversi della situazione, fino alla rimodulazione della propria quotidianità, dettata dalla limitazione delle libertà personali. Ma davvero tutto il male viene per nuocere? Grazie all'aiuto del Dottor Domenico Arturo Nesci, Psichiatra del Policlinico Universitario “A. Gemelli” di Roma, abbiamo cercato di guardare il bicchiere mezzo pieno, dopo quasi due mesi di lockdown.
D: Quali implicazioni psicologiche ha comportato la pandemia? E come provare a vivere una “vita normale”?
R: Certamente non è stato semplice riadattare le proprie abitudini, ma proviamo a trovare qualche lato positivo della quarantena, affinché anche psicologicamente si riesca ad affrontare meglio la situazione: io, ad esempio, sono assolutamente favorevole al telelavoro ed avendo a lungo lavorato all'estero posso testimoniare che in altri Paesi non ci sono le stesse resistenze “patologiche”, come invece avviene in Italia, nei riguardi del cosiddetto “lavoro agile” o “lavoro intelligente”. Al contrario, la rivoluzione di Internet e delle nuove tecnologie consentono non soltanto di risparmiare tempo e stress, che generalmente si spendono in macchina o nel traffico per arrivare in ufficio, ma anzi permettono di riscoprire aspetti dell’umanità del vivere dimenticati. E questo non significa assolutamente lavorare meno o non aver voglia di lavorare, ma semplicemente svolgere le stesse attività di ogni giorno, nel confort delle mura domestiche.
D: La quarantena ci ha imposto di stare chiusi in casa anche nei giorni di festa…
R: Prendiamo il lato positivo anche qua: stare con i bambini in casa, riscoprire i rapporti che inducono alla riflessione anche con i propri figli, guidarli sui temi che le drammatiche notizie continuano a portare dentro le nostre case e che eravamo abituati a rimuovere quando non ci riguardavano da vicino! Prendiamo il tema della morte, che sembra non ci riguardi, oggi è lì immediato, declinato da quei bollettini agghiaccianti giornalieri, che per settimane ci hanno tenuto con il fiato sospeso e che ancora oggi preoccupano. Ed ecco che ci troviamo a rifletterci e magari parlarne… L’auspicio è che quando tutto questo sarà finito, le persone continueranno a dimostrare sensibilità ed attenzione!
D: Quanto ed in che modo la psicoterapia può essere di supporto anche a distanza, in momenti come questo?
R: Direi moltissimo, può davvero fare la differenza! Io stesso nel mio lavoro di ogni giorno visito i pazienti oncologici del Gemelli direttamente da casa: l’apertura alla psicoterapia online e alla telemedicina, che in Italia stenta ancora ad essere utilizzata, rappresenta una risorsa fantastica che consente di seguire un numero molto più alto di persone. Basti pensare a chi è molto anziano e non può recarsi fisicamente dallo psicoterapeuta o magari a chi abita in una città diversa da Roma e non può fare avanti e indietro. Con tutta la tecnologia che c’è oggi a disposizione, bisogna sfruttare al meglio questi mezzi che ci consentono comunque di portare avanti il nostro lavoro anche quando non è possibile farlo in altro modo. Nell'online si entra a casa del paziente, ma anche il paziente entra nella casa del terapeuta, quindi si crea un’interazione molto grande da entrambe le parti.
D: Lei inoltre è stato promotore della cosiddetta “psicoterapia multimediale” per l’elaborazione del lutto: in cosa consiste?
R: Il paziente, che ha subito un lutto, porta in 8 sedute una quarantina di foto della persona che ha perso, cercando di ricostruirne la storia della vita, così si crea un clima familiare ed intimo perché è come se portasse l’album di famiglia, superando tutti i limiti spazio-temporali. Ripercorriamo interi cicli di vita! Poi si passa alla musica, suggerita dal paziente, e si ascolta insieme: questo è un momento di grande sintonia, intimità, commozione. Infine le foto e la musica vengono consegnati ad un artista che ne fa un’interpretazione personale, perché non conosce il paziente. La vita del paziente assume dunque significati nuovi, scoperti dal punto di vista dell’artista, che ne valorizza altri aspetti. Il video finale che viene realizzato porta in superficie verità nascoste, che mai sarebbero emerse in altro modo. Il filmato viene infine regalato al paziente e la terapia può considerarsi conclusa. Vede, proprio per tornare ai temi di cui sopra, all'importanza di coltivare rapporti in famiglia, io sono riuscito a concepire questa nuova terapia e a realizzare le fasi del percorso proprio grazie a mio figlio, Filippo Arturo Nesci, artista digitale e produttore, le cui competenze sono state decisive per la riuscita del mio lavoro.
D: Tornando al coronavirus, come supportare a livello psicologico medici ed operatori sanitari che sono quotidianamente sottoposti a carichi di lavoro massacranti e forte stress emotivo?
R: Appronterei negli ospedali delle postazioni in cui i medici, con tranquillità, possano scegliere se parlare in solo audio con lo psicoterapeuta oppure in videoconferenza, per sfogare le ansie o le paure che in questi giorni sono raddoppiate. Questo li aiuterebbe a gestire i comprensibili momenti di crisi, dettati non solo da ritmi forsennati, ma anche dall'isolamento prolungato che li porta a stare lontani per giorni dai familiari. Il senso di solitudine che si prova è molto forte; dunque medici, infermieri ed operatori sanitari devono percepire di non essere mai lasciati soli. Una volta superata l’emergenza da COVID-19, vorrei comunque sottolineare l’importanza per tutti i professionisti di seguire sempre un percorso di psicoterapia: la nostra cultura e le leggi hanno reso obbligatori gli ECM, che a mio avviso potrebbero essere organizzati tramite dei gruppi balint che sono un metodo di lavoro di gruppo destinato ai medici e alle altre professioni di cura e d'aiuto, che ha come scopi la formazione psicologica alla relazione con il paziente, la “manutenzione del ruolo curante” e la promozione del benessere.