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Focus sul rapporto pubblico privato

Casi emblematici

Un caso recente che ho seguito da vicino mi ha spinto a riflettere sullo stato dei rapporti pubblico-privato, nella realtà viva delle strutture e delle persone. Ho ripercorso anche le tante attività che nella vita professionale mi hanno visto collaborare a progetti congiunti enti pubblici, istituzioni culturali e della ricerca, soggetti privati, radicalmente diversi fra loro, per constatare che, nonostante la diponibilità di strumenti giuridici e gestionale, ampiamente sperimentati, abbiamo ancora molta strada da percorrere.
Nel Policlinico di Tor Vergata, si è sperimentato un servizio di biblioteca, con prestito interbibliotecario, tramite i cataloghi on line delle raccolte, anche digitali, del Consorzio delle Biblioteche Castelli Romani e di quelle di Roma, di quelle di facoltà dell’Università di Tor Vergata di quelle del CNR. In tutto oltre 60 biblioteche civiche più 10 universitarie più quelle del CNR che contano una rete di 903 biblioteche a livello nazionale e internazionale. La possibilità quindi di accedere a circa due milioni di titoli cartacei, a tutte le risorse digitali gestite dalla piattaforma medialibrary oltre che a tutte le risorse digitali della rete CNR.
Il servizio rivolto ai malati, a tutto il personale e anche ai parenti dei degenti, oltre che ai cittadini del quartiere privo di una biblioteca pubblica, ha avuto un grande consenso e un utilizzo pieno, confermando che in campo culturale e informativo le persone colgono l’opportunità di leggere e di informarsi, se scoprono un’ offerta di servizi che gli consente di farlo in modo rapido e semplice. In una situazione difficile come quella che i malati vivono durante il ricovero, il servizio è stato possibile grazie ad un accordo fra il Consorzio Sistema Bibliotecario Castelli Romani, la Fondazione del Policlinico, e Club medici, che ne sosteneva l’intero onere economico. Club medici è un’Associazione che opera a livello nazionale, il cui cor business sono i medici. Ne delineo alcuni tratti distintivi perché, come vedremo, è proprio il suo stato di privato che ha provocato complicazioni e diffidenze. Con poco meno di 20.000 iscritti l’Associazione, riconosciuta dagli albi professionali, offre servizi a tutto campo, dalla professione al tempo libero, dal ramo assicurativo a quello immobiliare. Lo statuto prevede anche l’impegno nelle attività culturali e sociali dei medici. L’apertura di un servizio di biblioteca all’interno del Policlinico ha richiesto evidentemente dei costi, innanzitutto di personale, ma anche di gestione e manutenzione, per i quali era difficile trovare capienza nei bilanci dei partner pubblici, già ristretti dalla necessità di risanare la spesa sanitaria nel Lazio. Questi costi sono stati quindi sostenuti da Club medici, che li ha giustificati nel suo bilancio come attività di promozione dei suoi servizi nei settori in cui opera, come valorizzazione del proprio brand. In sintesi si sono configurati rapporti pubblico-privato secondo un modello di finanziamento di servizi culturali innovativi con un forte impatto sociale. Non diversamente da ciò che ormai si ritiene normale e proficuo per i beni artistici e monumentali. Nel film di Wiseman – Ex libris - presentato con gran successo alla mostra di Venezia (sarà visibile nelle sale dal 24 Aprile), si apprende che la notissima Public Library di New York è finanziata per il 60% dal Municipio di New York e per il 40% dai privati, mecenati e imprese, che esprimono alla direzione della biblioteca, la ricaduta culturale o promozionale che attendono dal loro contributo. Non sarebbe possibile altrimenti offrire alla comunità l’amplissima gamma di servizi per cui è giustamente la Public Library è così popolare. In questa sede, non importa sostenere Club medici, che può mettere in atto le sue iniziative in altri luoghi, e che, da quanto so, sta lavorando ad un progetto nazionale di più ampio respiro “Apri una biblioteca in Ospedale” facendo tesoro del “prototipo” PuntoBiblio. Importa invece capire se può proseguire la sua opera quel Punto Biblio, oggi chiuso, in una grande struttura ospedaliera, pienamente in linea con i nuovi orientamenti nel campo della salute e della cura. (vedi Economia della cultura, Il Mulino,2017/n.2 dedicato al tema Cultura, salute, benessere, a cura di Carla Bodo e Pier luigi Sacco). In fondo è questo che interessa tutti i sostenitori: permettergli di crescere e diventare un modello generalizzabile, individuando certamente un quadro formale che garantisca tutti gli attori - pubblici e privati - legittimità e trasparenza. L’appello per la sua riapertura ha già raccolto su Changeorg 1100 adesioni e altre se ne stanno aggiungendo. Sembra che lo stesso Policlinico di Tor vergata e il Consorzio delle biblioteche dei Castelli Romani siano interessati ad una positiva soluzione, anche se da quanto dichiarato dalla direzione ospedaliera la soluzione cercata escluderebbe il privato. Di contro ritengo sia interessante che questo avvenga senza rinunciare all’apporto del privato (Club medici o altri), che è un aspetto virtuoso dell’esperienza perché, nell’interesse di tutte le attività e servizi culturali, le esperienze e gli strumenti del rapporto pubblico e privato hanno bisogno di crescere e di trovare modelli operativi funzionali.
La collettività infatti ha bisogno di incoraggiare la partecipazione e l’assunzione di responsabilità da parte dei cittadini nei confronti della cosa pubblica, non per incoraggiare il disimpegno dello Stato, né per sostituirlo, ma per condividere le soluzioni. Il mecenatismo e le sponsorizzazioni, tra l’altro, non sono più le uniche forme di collaborazione consentite; altre forme - associazione, convenzione, consorzio, società pubblico/privato - sono disponibili per una programmazione congiunta. Eppure nonostante decenni di teorie, pratiche e strumenti di gestione sul rapporto pubblico privato, la maggioranza dei funzionari pubblici e dirigenti non ha fatto questa esperienza, non la considera una soluzione, ne teme le complicazioni burocratiche (reali!) e la percepisce come una scelta densa di rischi. S’incontra spesso nei dipendenti pubblici una concezione monolitica del privato, entità indeterminata portatrice d’interessi (professionali o d’impresa) estranei o addirittura opposti al bene pubblico. Il clima di diffidenza creato da frequenti episodi di illegalità e guadagni impropri in altri settori, ha ridotto di molto la propensione a percorrere questa strada per allargare e innovare, finendo per penalizzare la collaborazione in sé.
“Le parole sono importanti” e i due aggettivi sostantivati – pubblico e privato - hanno il potere di evocare una fitta trama di culture e diffidenze radicate nei secoli, nonostante la fisionomia del pubblico e del privato sia progressivamente cambiata e perfino il codice civile abbia già recepito e normato relazioni e comportamenti. Si può capire e condividere l’incertezza perché a cavallo fra i due secoli - ‘900 e “2000 – si sono progressivamente spostati i contorni delle istituzioni, e dei processi organizzativi, dando luogo ad una riforma continua in uno scenario magmatico. La tradizionale organizzazione verticale della società italiana si sta aprendo, pur con molte resistenze, a relazioni orizzontali, o anche circolari e trasversali, richieste dai mutamenti sociale, tecnologici e, in sintesi, culturali. I processi sono in atto, ma la consapevolezza degli attori sociali è spesso ferma ad una immutata percezione di identità e appartenenza. Ci sono però esempi virtuosi e modelli da diffondere come per es. il Punto Biblio del Policlinico di Tor Vergata.
Articolo di Ernesto Galli della loggia

Articolo di Massimo Coen Cagli

Da anni ci confrontiamo in modo drammatico con la carenza di fondi pubblici o con un loro uso inefficiente e inefficace. Sempre di più, quindi, le istituzioni pubbliche guardano al fundraising come una riposta possibile a questa situazione di crisi finanziaria.
L’attenzione si concentra giustamente su ambiti come la cultura, la scuola, i servizi socio-assistenziali e, comunque, quelle iniziative e attività che pur non essendo essenziali concorrono in modo evidente ad accrescere il benessere della comunità.
Il problema non è fare fundraising per queste cause e neanche trovare i sostenitori. Checché se ne dica, gli italiani sono generosi o almeno propensi – se non altro per una nostra antica tradizione – a contribuire economicamente al sostegno dei “beni comuni”. Il problema è dato dagli ostacoli, dai lacci e lacciuoli di natura burocratica e amministrativa, da una cultura del lavoro dipendente che minimizza e addirittura respinge la passione e la condivisione di una causa sociale quale elemento del profilo professionale di un lavoratore, ma anche dalla cieca idiozia di chi ha responsabilità di governo o direzione.
Che parole forti! Guarda, Coen Cagli che rischi la querela. Niente affatto. Cito il Garzanti:

idiota
  1. persona stupida, deficiente (spesso usato come epiteto ingiurioso)
  2. (med.) chi è affetto da idiozia
  3. (ant.) persona rozza, incolta
si dice di persona stupida o di cosa che rivela stupidità: battuta, risposta idiota
Etimologia: ← dal lat. idiōta(m) ‘ignorante’, che è dal gr. idiṓtēs, deriv. di ídios, nel sign. di ‘(uomo) privato’, che come tale è considerato ‘incompetente, inesperto’ rispetto a chi riveste incarichi pubblici.


Mentre Treccani ce ne spiega le origini:
In latino, idiota significava ‘incompetente, inesperto, incolto’ e proveniva a sua volta dal greco idiótes. Idiótes voleva dire ‘uomo privato’, in contrapposizione all’uomo pubblico, il quale ultimo rivestiva cariche politiche e dunque era colto, capace, esperto; quindi già in greco idiótes valeva ‘uomo inesperto, non competente’.

Ed ecco la dimostrazione attraverso un caso emblematico.
Quattro anni fa, per iniziativa del Sistema Bibliotecario dei Castelli Romani e in partnership con Club Medici Service, una realtà che offre servizi di vario genere ai medici (e fa di questo il suo business), si dà vita – non senza difficoltà burocratiche di vario genere – al punto biblioteca presso il Policlinico Tor Vergata di Roma. Il Policlinico, per chi non lo conoscesse, è una sorta di cittadella in un quartiere privo di servizi culturali, sociali e anche di altro genere. Insomma un posto importante in un luogo desolato.
Come rendere migliore la vita dei degenti e del personale in questa cattedrale nel deserto? Uno dei modi è quello di portare la cultura all’interno dell’ospedale. Un punto dove leggere, prendere in prestito libri, accedere ad una miriade di servizi tramite gli strumenti messi a disposizione dalle biblioteche dei Castelli Romani (tra i quali MLOL, uno dei sistemi più avanzati di accesso a contenuti culturali di vario genere). Ma anche un bel posto, con tavolini e personale accogliente. Al tempo stesso per i medici è un punto dove accedere a servizi di vario genere forniti da Club Medici Service. Direi senza dubbio l’unico posto veramente “umano e sociale” dell’ospedale. Meglio anche del bar, dozzinale come normalmente avviene per quasi tutti i bar di ospedale.
La cosa importante è che tutto ciò non è costato e non costa neanche un euro alla pubblica amministrazione e i servizi sono gratuiti come in qualunque biblioteca. Questo grazie all’investimento economico e in personale fatto da Club Medici Service. Posso assicurare che è una delle operazioni di Responsabilità Sociale di Impresa più intelligenti che io abbia mai visto, anche se non ha destato clamore.
Peraltro, quest’iniziativa risponde da anni, in modo lungimirante, a quella che oggi è una politica di primaria importanza: la promozione della lettura, sulla quale la pubblica amministrazione, giustamente, investe soldi e personale.
Insomma: un gioiello.
E cosa si fa con un gioiello? Lo si tiene da conto, lo si cura, lo si valorizza. Ma la direzione della Fondazione Tor Vergata, che gestisce il Policlinico e che è costituita anche dalla Regione Lazio (che punta giustamente sulla Sanità quale priorità del proprio governo) cosa fa? Chiude il Bibliopoint senza esplicitare motivazioni e senza preavvertimento. E “chisenefrega” delle migliaia di utenti che hanno fruito e fruiscono del servizio e anche dell’impegno di Club Medici Service.
Da un articolo di giornale (corriere.it) trapela la notizia che il Bibliopoint è stato chiuso perché è terminata la convenzione. Al che, sorge spontanea una domanda: ma perché non è stata rinnovata? Qual è la ragione che ha portato a non promuovere il rinnovo? Sarà mica che non si vede di buon occhio la presenza di un soggetto privato (un’associazione di servizi per i medici) all’interno di un un servizio pubblico? Se così fosse saremmo di fronte ad una grande schizofrenia: da una lato chiediamo i soldi dei privati per fare le cose, dall’altro però non li vogliamo tra i piedi.
Ecco cosa frena il fundraising per i beni comuni: l’idiozia.
Il Bibliopoint di Tor Vergata prima e dopo la chiusura.
Difficile trovare una risposta tecnica al problema dell’idiozia. Alle regole burocratiche inefficaci, ai paradossi prodotti da norme amministrative ci sono risposte tecniche. All’idiozia no. Non è che cambiando una legge o un provvedimento si possa annullare l’idiozia. Ed è per questo che è l’ostacolo peggiore al fundraising per la pubblica amministrazione.
Per dovere di cronaca: in quanto cittadino e persona che da anni si occupa di fundraising per la cultura e per i beni comuni e che in ogni corso sulla cultura cita – anche in contesti internazionali – il caso Bibliopoint Tor Vergata come esempio, ho scritto al Presidente della Regione Lazio (nonché commissario ad acta per la Sanità), all’Assessore alla Cultura (che presiede a politiche di promozione della lettura) e al Direttore della Fondazione Tor Vergata, chiedendo di riparare a quest’idiozia o almeno di esplicitare i motivi che hanno portato alla chiusura, cosa che dovrebbe essere obbligatoria per un buon governo della cosa pubblica. Altri hanno anche promosso interrogazioni al Presidente della Regione Lazio e scritto al Rettore dell’Università di Tor Vergata.
Attendiamo risposta. Ma intanto cerchiamo di capire come combattere l’idiozia alla radice…

Articolo del Corriere.it

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